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            Siamo 
                alla fine del 1956 e Juan Manuel Fangio, campione del mondo con 
                la Lancia-Ferrari D50, lascia Maranello senza pochi risentimenti 
                e accuse dirette verso Enzo Ferrari, reo secondo “El chueco” 
                di averlo ripetutamente sabotato a favore di Collins, in quanto, 
                sempre secondo Fangio, il mercato dell’auto inglese fa molta 
                gola a Ferrari, mentre quello argentino è ancora chiuso 
                alle importazioni. Manuel Fangio è ai ferri corti con Ferrari 
                che lo reputa un buon pilota, ma ha anche una certa “invidia” 
                verso quel pilota argentino dalla strana voce metallica. Lo reputa 
                troppo sicuro di se, troppo furbo e scaltro nelle decisioni da 
                prendere. E’ un geniale mercenario e sa sempre dove accasarsi 
                nel modo migliore con la vettura vincente, frutto delle sue esperienze 
                acquisite nella patria natia, durante le lunghe carreteras di 
                migliaia di chilometri e nell’essere cresciuto nel mondo 
                dei motori. Per dovere di cronaca va anche detto che Fangio era 
                già conoscitore della Casa del Cavallino, avendo corso 
                con vetture di Maranello con i colori blu e giallo dell’Equipo 
                Argentino. Inoltre Ferrari non vede di buon occhio e questo penso 
                sia uno dei motivi principali di questo amore-odio verso Fangio, 
                che dopo ogni gara vinta, l’argentino fa credere alla stampa, 
                quindi al mondo intero, che il merito della vittoria fosse solo 
                sua e non della vettura. Forse più di Manuel Fangio fu 
                il suo manager, Marcello Giambertone a rovinare i già delicati 
                rapporti con Enzo Ferrari. Figuriamoci Ferrari che si trova di 
                fronte ad un nuovo “caso Nuvolari”, fino al punto 
                di fargli dire:” Manuel Fangio è rimasto per 
                me un personaggio indecifrabile. La sua statura agonistica era 
                invece indiscutibile. Possedeva una visione della corsa decisamente 
                superiore e un equilibrio, una intelligenza agonistica, una sicurezza 
                nella condotta di gara veramente singolari”, come per 
                dire, il pilota era grande, l’uomo un pò meno.  | 
           
           
             
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            Fangio, 
                Castellotti, Hawthorn, De Portago e Collins  | 
           
           
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            Il 
                1956 per Ferrari è un anno duro, un anno che mette alla 
                prova qualsiasi uomo posto davanti ad un’atrocità 
                come la perdita di un figlio. Dino, il “figlio totale” 
                di Ferrari, il figlio per cui Ferrari ha smesso di correre il 
                9 agosto 1931 per dargli una sicurezza nella futura vita, se ne 
                va, in punta di piedi il 30 giugno 1956 a soli 24 anni, distrutto 
                da quella malattia per cui Ferrari avrà negli anni a venire 
                sempre un occhio di riguardo, donando centinaia di milioni per 
                macchinari e ricerca: la distrofia muscolare. Gli resta solo Piero 
                Lardi, poi Ferrari, avuto nel maggio del 1945 da Lina Lardi. Ferrari 
                è distrutto, ma le sue macchine devono continuare a correre 
                e la sua azienda deve continuare a produrre vetture che iniziano 
                ad essere ricercate in tutto il mondo.  
                Mal digerita la dipartita dell’argentino, Ferrari come suo 
                solito, pensa bene di dare i “gradi” ai giovani piloti 
                che ha nella sua Scuderia. Eugenio Castellotti, 
                Luigi Musso, Peter Collins, 
                Alfonso de Portago, Mike Hawthorn, 
                rientrato in Scuderia nel 1957 dopo averla lasciata nel 1955 e 
                Wolfgang von Trips, si trovano a dimostrare il meglio di loro 
                stessi davanti agli occhi severi di Ferrari. Il migliore sarà 
                il caposquadra per l’anno 1957, il decennale dell’Azienda, 
                un anno che come vedremo più avanti, segnerà le 
                sorti di alcuni piloti della “Primavera Ferrari”. 
                 
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                Eugenio 
                Castellotti (Lodi (I) 10 ottobre 1930 – Modena 
                (I) 14 marzo 1957) prova una Ferrari 801, diretta derivata dalla 
                Lancia-Ferrari D50. All'Aerautodromo 
                è presente Jean Bhera con la Maserati. La lotta è 
                subito accesa sul filo dei centesimi di secondo. Al secondo giro 
                di prove, Eugenio passa dai box, percorre tutto il rettifilo ad 
                elevata velocità. Arrivato alla "S" Stanguellini 
                deve scalare le marce, ma qualcosa non funziona, ancora oggi non 
                si sa se nel pilota o nella vettura. La Ferrari 801F1 tocca i 
                cordoli, decolla, carambola e si va a fermare sulla tribunetta 
                del Circolo della Biella, fortunatamente deserta in quel momento. 
                Sono le 17.18 del 14 marzo 1957. Castellotti morirà sull'ambulanza 
                mentre a sirene spiegate cerca di raggiungere l'Ospedale di Modena. 
                 
                 
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                  |   Due 
                      belle immagini di Eugenio Castellotti 
                     | 
                 
                 
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                  La 
                      Ferrari 801 F1 di Castellotti dopo l'incidente  | 
                 
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            E' 
                stata la ricerca di un record combattuto fino all'ultimo decimo 
                con Jean Behra quel 14 di marzo? Fu l'occhio osservatore di Enzo 
                Ferrari che lo scrutava giro dopo giro? Fu la rivalità 
                con Luigi Musso sullo status di futura prima guida o fu l'amore 
                di Delia Scala che lo portarono ad una fine prematura? Si parla 
                anche di un guasto meccanico all'impianto frenante, guasto che 
                non fece rallentare la Tipo 801all'entrata della "S" 
                Stanguellini, toccandone i cordoli e che portò la rossa 
                Ferrari a fare salti e capriole fino alla tribunetta del Circolo 
                della Biella, dova la vettura si fermò. Ma anche le corse 
                da Maranello, Lodi, Milano per stare con Delia, ebbero il loro 
                peso. Anche qui non si saprà mai. Aveva solo 27 anni. E' 
                l'inizio di una lunga catena di incidenti che scuoterà 
                l'opinione pubblica e lo stesso Ferrari, fino al punto di farlo 
                pensare ad una chiusura con il mondo delle corse. L’incidente 
                di Castellotti gettò nello scoramento più completo 
                tutta la fabbrica, in quanto Eugenio era pilota amato e popolare. 
                Era uno che correva per la gente sulle tribune e dalle tribune 
                riceveva tutta la carica necessaria per dare il meglio di se stesso. 
                Discendeva da famiglia benestante del lodigiano, amante dello 
                sport in generale, amava molto anche le belle donne. Sandra Milo, 
                Anna Maria Ferrero, Edy Campagnoli, sono solo alcuni nomi del 
                suo “palmarès”, ma il suo cuore si fermò 
                a Delia e con Delia aveva deciso di mettere su casa. Aveva un 
                grande amico, un mentore di nome Alberto Ascari, che la sorte 
                volle finisse i suoi giorni di vita terrena all’Autodromo 
                di Monza, proprio sulla Ferrari 750 Monza dello stesso Castellotti, 
                in un giorno di normali collaudi. Era il 26 maggio del 1955.   | 
           
           
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            Enzo 
                Ferrari prepara la XXIV Mille Miglia, ancora scosso dall’incidente 
                di Castellotti. I giornali si chiedono perché, come mai 
                una morte così assurda? Enzo tace, lascia parlare gli altri, 
                chiuso nel suo immenso dolore per la perdita di un suo pilota. 
                Il 12 maggio la Ferrari schiera i seguenti equipaggi: Taruffi 
                / Von Trips / De Portago-Nelson / Collins-Klemantaski / Gendebien-Washer. 
                La competizione stradale ha rilievo internazionale e le case automobilistiche 
                ci tengono a fare bella figura, quindi sotto con schieramenti 
                di uomini, mezzi, risorse. Chi la vincerà potrà 
                fregiarsi quasi come aver vinto un campionato del mondo per vetture 
                sport, Ferrari conosce bene le regole e la risonanza mondiale 
                dell’evento. Il giorno della gara attenderà le sue 
                rosse vetture al rifornimento di Bologna, come sua usanza. In 
                contemporanea impartisce gli ordini di Scuderia che recitano: 
                “vinca Taruffi”, congelando di fatto tutte le posizioni 
                degli altri ferraristi. E così fu. Si narra che durante 
                la sosta per rifornimento a Bologna di Alfonso De Portago, 
                (al secolo Don Alfonso Antonio Vicente Eduardo Angel Blas Francisco 
                de Borja Cabeza De Vaca y Leighton Carvajal y Ayre, XVII marchese 
                De Portago, XII Conte de la Mejorada – (Londra (GB) 11 ottobre 
                1938 – Guidizzolo (I) 12 maggio 1957), un giornalista sportivo 
                fu visto parlare con il pilota e il suo secondo. Cosa si siano 
                detti esattamente nessuno lo sa, ma pare che il giornalista esortasse 
                “Fon” a spingere sull’accelleratore in quanto 
                le due Ferrari di testa, avrebbero accusato noie meccaniche e 
                dal suo terzo posto in classifica generale, non sarebbe stato 
                difficile agguantarli e superarli. La 335 S di Portago-Nelson 
                divora i chilometri verso Brescia ad una velocità pazzesca, 
                passando attraverso centri abitati e lunghi rettifili fiancheggiati 
                da alberi.   | 
           
           
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                  La 
                      partenza di Alfonso De Portago alla XXIV Mille Miglia  | 
                  La 
                      vettura di De Portago-Nelson dopo l'incidente di Guidizzolo  | 
                 
                 
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                  Alfondo 
                      De Portago spinge la Lancia-Ferrari D50  | 
                 
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            All’altezza 
                del paese di Marmirolo la vettura di De Portago “pizzica” 
                con gli pneumatici gli occhi di gatto posti in mezzaria della 
                strada, ma qualcuno dopo il fatto segnala che la Ferrari n°531 
                viaggiava con un pezzo di lamiera penzolante, staccatasi dal fondo 
                della vettura, sembra a seguito di un urto contro un muretto o 
                un angolo cantoniero. La Ferrari raggiunge Cavriana a pochi chilometri 
                da Guidizzolo e si immette in un lunghissimo rettifilo che la 
                porterà a Brescia, forse vincitrice. Fon affonda il piede 
                sempre più sull’accelleratore, gli pneumatici scaricano 
                a terra potenze inaudite, poi uno scoppio, la 
                vettura decolla, trancia alcuni pali e alberi, ricade nel 
                fossato di sinistra e poi, spinta dall’immane forza inerziale, 
                risale il fossato sinistro, attraversa la strada e ricade nel 
                fossato di destra, con il muso rivolto verso Bologna. Un sinistro 
                silenzio dura per qualche secondo, poi urla, disperazione, sangue, 
                morte, sconvolgono la gioiosa festa del passare delle vetture. 
                De Portago, Edmund Nelson e 9 spettatori tra bambini e adulti, 
                non ci sono più. La notizia venne appresa da Ferrari tramite 
                i bollettini radio che man mano spiegavano i fatti sempre con 
                maggiore crudezza e precisione. Sono passati appena due mesi dalla 
                morte di Castellotti e per Ferrari si ripresenta un altro calvario 
                a cui è difficile porre parole. L’opinione pubblica 
                è a briglie sciolte. Da più parti si levano accuse 
                alle corse in strada e a Ferrari stesso, che dovrà sopportare 
                questa infamia e questo peso fino al luglio 1961, quando il Tribunale 
                di competenza a seguito delle perizie svolte, assolve Enzo Ferrari 
                e la Casa belga Englebert dall’accusa di omicidio colposo. 
                Il marchese spagnolo non c’è più, come non 
                c’è più il suo giubbotto di pelle nera, sua 
                vera carta d’identità e la sua borsa da viaggio con 
                l’essenziale per le gare automobilistiche.   | 
           
           
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            Ferrari 
                vacilla. Gli pensa anche la morte di Piero Carini deceduto il 
                30 maggio 1957 a St. Etienne in Francia e dell’Ing.Andrea 
                Fraschetti, morto all’Aerautodromo di Modena mentre collauda 
                una Dino di Formula Due il 29 agosto 1957. Pensa di smettere con 
                le corse, anche a seguito dell’articolo apparso sulla Stampa 
                di Torino a firma Ferruccio Barnabò che gridava: “Basta 
                col sangue!”. Ma la passione e il pensiero per la sua fabbrica, 
                lo fa continuare, a fatica, ma continua. Nemmeno il titolo vinto 
                di Campione del Mondo Costruttori Sport lo consolerà e 
                tantomeno riceverà consolazione dalla conferenza indetta 
                per celebrare i dieci anni della sua Fabbrica, disertata da molte 
                personalità, con i soliti e cortesi “precedenti impegni”.  | 
           
           
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            Juan 
                Manuel Fangio e Luigi Musso (Roma 28 luglio 1924 
                – Reims (F) 6 luglio 1958) se la scherzano allegramente 
                prima del Gran Premio di Francia in programma domenica 6 luglio, 
                dopo che il 5 luglio, si era disputata la 12 Ore di Reims, sempre 
                sullo stesso circuito, vinta dalla coppia Olivier Gendebien e 
                Paul Frère su Ferrari 250 GT. La stagione 1958 era cominciata 
                con i giusti auspici per le rosse vetture di Maranello che vinsero 
                nelle diverse categoria F1 e Sport in Argentina, a Sebring, nella 
                Targa Florio, nel GP di Siracusa, a Silverstone e alla 24 ore 
                di Le Mans, gare che coroneranno anche per il 1958 il titolo di 
                Campione del Mondo Costruttori Sport, oltre al Titolo Piloti vinto 
                con una sola gara e diversi piazzamenti dall’inglese Mike 
                Hawthorn su Ferrari 246 F1. Il “romanino” deve vincere 
                a tutti i costi il GP, anche perché la posta in palio è 
                alta (10 milioni di Franchi) al vincitore, oltre al premio di 
                ingaggio e alle classiche 250 bottiglie di vino offerte dalla 
                Regione francese dell’Epernay a chi avesse conquistato la 
                pole position, il record sul giro, al pilota vincitore e alla 
                vettura vincitrice, quindi ascolta con attenzione i consigli del 
                5 volte Campione del Mondo su come affrontare l’insidiosa 
                curva di Gueux o “Calvaire”, come tenere giù 
                il piede per tutta la curva e mai staccarlo dall’accelleratore.  | 
           
           
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                  Luigi 
                      Musso soprannominato il "romanino"  | 
                 
                 
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                  La 
                      Dino 246 F1 di Luigi Musso finita nel campo di grano  | 
                 
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            Fangio 
                in questo era un maestro. “Ricordati che se le spighe 
                si piegano, occorre alleggerire sul gas” dice Fangio 
                a Musso. Il problema è che quella corsa la volevano vincere 
                in molti, primi fra tutti Musso seguito dal compagno Hawthorn, 
                entrambi canditati alla conquista del titolo mondiale. Lo stile 
                pulito di guida di Musso gli dava vantaggio, ma la spinta maggiore 
                per Luigi fu la precedente perdita al gioco sommata ai problemi 
                con l’autosalone di Roma e il conseguente recupero che Musso 
                doveva fare per fare fronte al famoso telegramma in cui gli si 
                diceva di vincere per recuperare denaro. Luigi Musso si presenta 
                a Reims da vincente, avendo vinto l’anno precedente sullo 
                stesso circuito una gara non titolata e quindi profondo conoscitore 
                del tracciato e con la “riserva” dei consigli dati 
                da Fangio sull’affrontare la “curva maledetta”. 
                Dopo la partenza del gran premio, Musso e Hawthorn si trovarono 
                nelle prime posizioni con due Ferrari 246 F1. Luigi sapeva come 
                affrontare la “falce” del curvone del Calvaire, così 
                ribattezzato in quanto all’ingresso della curva si trovava 
                una capannina con un’immagine sacra. La stessa audacia e 
                voglia di vincere pervadeva i due piloti, al punto che entrarono 
                nella Gueux assieme, acceleratore a tavoletta, vietato “telegrafare”, 
                pena l’uscita di pista. Musso seguiva Hawthorn a piena velocità 
                e presumibilmente un errore di traiettoria lo obbligò ad 
                alleggerire la pressione sull’accelleratore, quanto basta 
                per non poter più raddrizzare la vettura. Nel libro “Champion 
                Year” di Hawthorn, si può leggere un passaggio molto 
                interessante secondo il suo punto di vista. Scrive Hawthorn: “Quando 
                stavo uscendo dal curvone, guardai nello specchietto per vedere 
                se avessi guadagnato qualcosa su Musso; con orrore lo vidi di 
                traverso in mezzo alla pista. Poi scomparve dietro di me, uscendo 
                dal mio campo visivo. Si sollevò una gran nuvola di polvere, 
                e questo fu tutto quello che vidi”. Mike Hawthorn passò 
                indenne la curva, per Luigi Musso ci fu solo un campo di spighe 
                ad attenderlo.   | 
           
           
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            Dopo 
                questo tragico gran premio, dove subì anche l’onta 
                dell’evitato doppiaggio in pista da parte di Hawthorn, che 
                non se la sentì di doppiare il “Maestro”, Fangio 
                smise di correre e si ritirò dalle competizioni, capendo 
                che ormai la sua carriera era giunta al termine.  | 
           
           
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            Ferrari 
                aveva un occhio di riguardo verso Musso in quanto italiano e così 
                descrive nel suo “Le mie gioie terribili” l’incidente 
                di Reims:“….così arrivarono insieme alla curva. 
                Hawthorn davanti, Musso ad una ventina di metri. Io sono convinto 
                che la foga di gara gli fece tenere il piede giù a fondo. 
                E’ difficile sapere con esattezza ciò che accadde. 
                I pochi testimoni, ufficiali di rara, fecero un racconto in cui 
                lo spavento provato prevalse sulla fedeltà della cronaca. 
                E con Musso finì il bello stile italiano.” Con 
                l’inglese Ferrari ostentava un rapporto basato solo sulla 
                raccomandazione avuta da Hawthorn dall’importatore Ferrari 
                per il Regno Unito, ma anche sulla fetta di mercato che l’Inghilterra 
                avrebbe potuto offrigli. Ferrari era abilissimo nell’imprimere 
                nella mente dei suoi piloti fin dall’inizio del campionato 
                una regola ben precisa: chiedeva il meglio e i suoi piloti lo 
                davano senza problemi, in previsione, come già detto sopra, 
                del risultato migliore in classifica nelle fasi finali del campionato 
                e qui Ferrari sarebbe intervenuto per “aiutare” 
                chi stava davanti a tutti per vincere il Campionato Conduttori. 
                Si può ben capire lo stato psicologico di Musso, pressato 
                dal gioco da una parte e dalla voglia di primeggiare dall’altra, 
                voglia che più di una volta lo vide contrapposto allo stesso 
                Castellotti per il Campionato Italiano. Adesso l’attacco 
                della stampa a Ferrari è totale ed anche l’Osservatore 
                Romano, dopo Civiltà Cattolica, che titolerà dopo 
                la strage di Guidizziolo: “Una inutile strage”, si 
                scaglia contro il costruttore modenese appellandolo “Saturno 
                ammodernato continua a divorare i propri figli”. Un coro 
                di “basta” si leva da più parti. Basta con 
                le corse e con le inutili morti. Ferrari si trova ancora ad un 
                bivio: continuare o lasciare perdere tutto, mollare le corse, 
                la sua vita.  | 
           
           
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            Sono 
                passati solo venti giorni dalla terribile fine di Luigi Musso 
                ed ecco che Ferrari è costretto ad incassare un altro tremendo 
                colpo: la morte di Peter Collins (Kidderminster 
                (GB) 6 novembre 1931 – Bonn (D) 3 agosto 1958), l’amico 
                di suo figlio Dino ed eccellente collaudatore. Nel mondo delle 
                corse pochi piloti hanno fatto quello che ha fatto Collins al 
                Gran Premio d’Italia 1956: cedere la propria vettura al 
                concorrente diretto al titolo mondiale e compagno di scuderia 
                Manuel Fangio. Eppure Peter Collins lo fece, senza problemi, magari 
                pensandoci un secondo, ma lo fece, regalando agli spettatori del 
                gran premio un gesto irripetibile di umanità e di dedizione 
                alla squadra che perfino Luigi Musso rifiutò, benché 
                richiamato più volte ai box, anche se lo stesso Musso aveva 
                già ceduto la sua L.F.D50 in occasione del Gran Premio 
                di Argentina, gran premio di casa per Fangio, permettendo all’argentino 
                di vincere poi la gara. Grazie anche a quel gesto, Juan Manuel 
                Fangio vinse il Campionato del Mondo Costruttori del 1956. Collins 
                disse a fine gara:”Ho solo 25 anni, avrò sicuramente 
                altre ciance per vincere il titolo”. Il suo esordio 
                in Formula uno è datato 22 gennaio 1956 nel Gran Premio 
                di Argentina e nel 1957 è già prima guida in Ferrari, 
                dopo un anno di “gregario” agli ordini del capo squadra 
                Fangio.   | 
           
           
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                  Peter 
                      Collins  | 
                  Peter 
                      Collins con il trofeo del vincitore  | 
                 
                 
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                  Peter 
                      Collins con 
                      Enzo Ferrari alla partenza della Mille Miglia   | 
                 
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            Ma 
                il 1957 si rivela oltre ad un anno di assurde disgrazie, anche 
                come un anno in cui le rosse vetture di Maranello (Tipo 801 F1) 
                non brillano e devono subire la superiorità delle altre 
                vetture. Dopo un inizio 1958 altalenante per motivi tecnici della 
                sua vettura, Collins vince il Gran Premio d’Inghilterra 
                e il suo morale torna alle stelle. Si presenta al Neurburgring 
                carico di voglia di vincere, di far vedere a Ferrari che i gradi 
                che gli ha dato, sono ben meritati. Ottiene il 4° tempo in 
                prova e al via dei 15 giri, la battaglia è con il connazionale 
                Tony Brooks. All’undicesimo giro, Peter sta recuperando 
                con la sua Ferrari 246 F1, ma arriva alla Curva Pflanzgarten, 
                l’affronta a piena velocità, sbanda, esce di pista 
                e si schianta contro un albero. Si racconta che prima di morire, 
                Collins disse:” Come Musso, come Musso”. L’unica 
                vettura che adesso corre verso Bonn è un’ambulanza, 
                ma Collins non ce la farà. Aveva solo 27 anni. Ferrari 
                diede la colpa dell'incidente a quel sì concesso dall'inglese, 
                neppure un anno prima, a Louise Cordier King. Eppure, l'unione 
                con l'attrice americana era piaciuta a tanti: lo scapolo impenitente 
                aveva finalmente messo la testa a posto.   | 
           
           
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            Per 
                Ferrari un altro grosso colpo. La sua caparbietà, la sua 
                forza interna, non furono sufficienti per passare quei terribili 
                momenti. La 
                stampa, la TV, si scagliarono tutti contro l’Uomo di 
                Maranello, senza tralasciare il fatto che sopra la testa di Ferrari 
                pendeva ancora la spada di Damocle per il processo dei fatti di 
                Guidizzolo, risoltosi poi nel 1961 con un nulla a procedere. Da 
                una parte la pressione dei media, dall’altra il pensiero 
                per la sua fabbrica e le sue auto. Pulsioni interne altalenanti 
                gli spingevano il morale sempre più in basso; il dolore 
                provato da Ferrari non era di facciata, era tremendamente vero. 
                Non se la prese nemmeno con la sfortuna in quanto era solito dire: 
                “ la sfortuna in quanto tale non esiste. Le avversità 
                sono piuttosto il risultato di quanto non abbiamo saputo o voluto 
                pianificare”. Il ritiro dalle competizioni sembrava 
                vicino e tutto spingeva in quel senso, sembrava che l’atto 
                di ritirasi da tutto al momento era il più sensato. Anche 
                se poco convinto religiosamente, gli pesava quanto scritto dall’Osservatore 
                Romano. Dopo l’assoluzione del 1961, pian piano la tensione 
                verso di lui si affievolì. Giornali e TV gli diedero pace 
                e ricominciarono ad esaltarne le gesta sportive e Ferrari si risollevò, 
                forte anche del sondaggio che il Guerin Sportivo fece su di lui 
                e sulle sue macchine.   | 
           
           
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                    Enzo 
                        Ferrari sempre più solo  | 
                   
                 
                | 
           
           
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                  Enzo 
                      Ferrari nel suo ufficio tra i suoi piloti, si riconoscono 
                      Castellotti, Musso, Fangio, Collins, de portago e Phil Hill  | 
                 
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            “Enzo 
                Ferrari si deve ritirare dalle competizioni, si o no?”, 
                questo quanto titolava il sondaggio stesso. Il plebiscito fu ovvio 
                e Ferrari ne uscì più carico moralmente da quegli 
                orribili anni di disgrazie. Anche gli ambienti religiosi incominciarono 
                a dare forza a Ferrari. Il settimanale cattolico Orizzonti, a 
                firma del padre gesuita Giacomo Perico, uscì con questo 
                articolo: “Sappiamo benissimo che può insorgere 
                a un certo punto della competizione, o nel pilota o nel mezzo 
                meccanico o nella pista, l’imprevisto che non poteva essere 
                conosciuto prima e contro il quale perciò era stato impossibile 
                difendersi. In questi casi, l’esito sfortunato della prova 
                ai danni della vita o dell’integrità dell’uomo 
                non è moralmente imputabile a nessuno se ciascuno ha dato 
                la sua parte di sicurezza e di protezione. L’imprevisto 
                è l’inevitabile controparte del progresso. E’ 
                la sorte dell’uomo non avendo la scienza del futuro e la 
                perfetta conoscenza delle leggi che si possono improvvisamente 
                inserire nel fenomeno che l’esperto sta provando, egli si 
                premunisce fino al limite delle sue possibili previsioni, poi 
                rischia e qualche volta al di là dei confini della sua 
                conoscenza c’è in agguato la forza sconosciuta che 
                interviene disordinando tutti i suoi piani e provocando il disastro. 
                O si rinuncia a progredire o ci si rassegna ad accettare l’incontro 
                con il fattore sconosciuto”. L’articolo di padre 
                Perico si concluse con questa liberatoria: “Contro questi 
                morti, la morale non pronuncia alcuna condanna, anzi, ad essi 
                la morale riconosce gran parte della sicurezza che godono oggi 
                coloro che sono rimasti ed è motivo per cui anch’essa 
                serba a loro una profonda riconoscenza”. Per Enzo Ferrari 
                mai parole migliori potevano essere indirizzategli, liberandolo 
                dai sensi di colpa accumulati nel terribile biennio 1957-1958 
                e le sue gioie incominciarono ad essere un po’ meno terribili. 
                Nel 1958 l’annuario edito dalla Ferrari, evidenzia la risposta 
                di Enzo Ferrari alle accuse rivoltegli nel biennio precedente 
                e la conferenza stampa di fine anno, non si dissocia da quanto 
                scritto nell’annuario, rispondendo punto su punto ai giornalisti 
                intervenuti. Dopo questo Ferrari chiuderà con i piloti 
                italiani. Arrivò anche la tanto attesa sentenza sui fatti 
                di Guidizzolo del 26 luglio 1961:   | 
           
           
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            “L’accusa 
                è manifestatamente infondata, e si basa esclusivamente 
                sulle affermazioni dei primi periti assunti dal P.M.: ma già 
                alcune considerazioni logiche, ovviamente scaturenti dalle contraddizioni 
                e dalle imprecisioni dei periti medesimi, avevano immediatamente 
                inficiato i nuovi assunti. Talché dopo l’escussione 
                minuziosa ed esauriente di tutte le persone interessate al caso 
                – dal costruttore Ferrari all’industriale Englebert, 
                dai tecnici Lèdent e Boasso al pilota Taruffi e ai direttori 
                della competizione, dai funzionari preposti alla motorizzazione 
                civile a tutti coloro, tecnici e assistenti, che avevano controllato 
                la messa a punto delle vetture e ne avevano seguito le prestazioni 
                durante tutto il percorso – questo giudice aveva ricavato 
                il netto e preciso convincimento che nulla potesse essere addebitato, 
                a titolo di colpa, sia al Ferrari che all’Englebert, forti 
                di un’ultradecennale esperienza in materia; consapevoli 
                della responsabilità nell’affrontare, studiare, costruire 
                ed impiegare mezzi meccanici di notevole potenza motrice; perfettamente 
                coscienti di dover intraprendere – come fecero – una 
                stretta e continua collaborazione per la miglior riuscita dell’impresa, 
                e per la costruzione e l’approntamento di mezzi i più 
                perfetti possibili in rapporto alla capacità umana. In 
                particolare il costruttore Enzo Ferrari è uomo dalla forte 
                e incisiva personalità, dotato di capacità intellettive 
                e morali indubbiamente superiori alla media, che attraverso immani 
                sacrifici e sospinto dalla sola passione dell’automobilismo, 
                ha saputo creare dal nulla, con le sue forze una industria stupenda 
                e perfetta come un laboratorio di orologeria, conquistando stima 
                e la ammirazione universali, costruendo vetture, sia per competizione 
                che per turismo, che tutto il mondo ci invidia, trionfando in 
                modo indiscusso sui circuiti e le piste di ogni continente. Questi 
                sono elementi obiettivi di giudizio, inconfutabili: parimenti 
                l’Englebert è titolare, in Belgio, di una ditta per 
                costruzione di coperture rinomata e apprezzata universalmente. 
                I due industriali, pertanto, non potevano non intraprendere , 
                per il buon nome dei rispettivi prodotti, che la più stretta, 
                rigorosa ed efficace delle collaborazioni, onde scendere in gara 
                con autovetture perfezionate al massimo di idoneità e conseguire 
                le più ambite vittorie: Come infatti accaduto. Orbene, 
                tutti gli assunti difensivi e tutte le spiegazioni logiche e tecniche 
                fornite dal Ferrari e dall’Englebert, nonché dai 
                loro collaboratori e dipendenti, hanno trovato piena conferma 
                nella esauriente e motivatissima relazione dei periti Capocaccia, 
                casci e Funaioli, tecnici e docenti di indiscussa fama e capacità 
                specifiche, e in particolar modo non legati da alcun diretto interesse 
                con ll’imputato o con la ditta belga. Ne consegue ex.art. 
                378 e 152 S.P.P. che il Ferrari deve essere immediatamente mandato 
                assolto dal reato ascrittogli, in conformità alle richieste 
                del PM, per non averlo commesso. Ex art. 622 e seguenti. Vanno 
                restituiti al Ferrari tutti i reperti caduti in giudiziale sequestro”. 
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            Anche 
                John Michael Hawthorn, Mike per gli amici (Mexborough 
                (GB) 10 aprile 1929 – Guilford (GB) 22 gennaio 1959), quinto 
                pilota della “Primavera Ferrari” se ne va, non in 
                corsa, non con una rossa Ferrari, ma con la sua Jaguar 3.4 (la 
                chiamavano Merc-Heater – mangia Mercedes), mentre sfida 
                l’amico Rob Walker (discendente dai noti produttori di Whisky), 
                a bordo di una bianca Mercedes 300 SL, in una pazza gara nelle 
                campagne inglesi in quella città che trent’anni dopo 
                diverrà un’antenna tecnologica della stessa Ferrari, 
                Guilford. Il destino lo ha salvato dalle piste e lo ha fatto morire 
                da Campione del Mondo fuori dalle piste. La verde Jaguar targata 
                VDU881 non ha retto velocità, pioggia e quel pizzico di 
                pazzia che aleggiava in Hawthorn, ed è volata fuori strada, 
                contro un albero. 
                Dopo la vittoria nel Campionato del Mondo 1958, aveva deciso di 
                ritirasi, scosso anche dalla prematura morte dell’amico 
                fraterno Peter Collins e lo aveva detto anche a Ferrari. Nei suoi 
                futuri programmi c’era quello di ingrandire il suo “TT 
                Garage” concessionario Jaguar e smetterla con i riflettori 
                della scena a cui un pilota vincente doveva sottostare. Lo chiamavano 
                il pilota con il farfallino o “Bad Boy”, ma a Maranello 
                lo chiamavano “Piombon” per il suo piede pesante.  | 
           
           
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                  |   John 
                      Michael Hawthorn, a Maranello lo chiamavano "Piombon" 
                      per il suo piede "pesante" 
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                  Guilford, 
                      22 gennaio 1959. Anche l'ultimo "cavaliere" della 
                      primavera Ferrari se ne va  | 
                 
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            Mike 
                vinse il Campionato 1958 con una sola gara al suo attivo, il Gran 
                Premio di Francia a Reims, dove Hawthorn conquistò l’hat 
                trick, pole position, giro veloce e vittoria proprio nel GP fatale 
                a Luigi Musso, oltre a diversi piazzamenti sul podio. Howthorn 
                fu il primo pilota inglese a vincere un titolo mondiale e lo conquistò 
                proprio nei cinque anni passati in Ferrari, dal 1953 al 1955 e 
                poi dal 1957 al 1958. Nella sua carriera vinse la 24 Ore di Le 
                Mans del 1955 in coppia con Ivor Bueb, passata alla storia per 
                i tragici fatti accaduti durante la gara, innescati involontariamente 
                dallo stesso Hawthorn nel rientro ai box, che va a tagliare la 
                pista mentre sopraggiunge la Healey di Lance Macklin, innescando 
                così, involontariamente, un groviglio di vetture che costerà 
                la vita a Pierre Levegh su Mercedes oltre a più di ottanta 
                spettatori. Fu accusato diverse volte di avere innescato incidenti 
                in gara, compreso quello della 1000 km del Neurburgring del 1956, 
                nel quale “invita” ad uscire di pista proprio Luigi 
                Musso. Anche in questo caso è Ferrari che interviene e 
                da un’altra possibilità a Hawthorn, inserendolo in 
                squadra nel 1957. Con questa manovra Enzo Ferrari si assicura 
                una formazione che non farà rimpiangere certo il grande 
                Manuel Fangio. Ma le polemiche continuano e i due inglesi, Hawthorn 
                e Collins vengono più volte accusati di fare gioco di squadra 
                per dividersi poi i premi ingaggio e gara. La storia ci consegna 
                un fatto che fa meditare. Sia a Reims come al Neurburgring, davanti 
                alle vetture di Musso e Collins, c’era la Ferrari di Hawthorn. 
                Pura casualità? Con la morte di Mike Hawthorn finisce l’epoca 
                della “Primavera Ferrari”, cinque giovani pieni di 
                spirito e voglia di vincere oltre che di vivere. Cavalieri del 
                rischio, amanti della vita e ancor di più della bella vita 
                che il mondo delle corse offriva. Se ne sono andati tutti, lasciando 
                il solo Ferrari a sopravvivergli con quel carico di “gioie 
                terribili” che lo hanno accompagnato per buona parte della 
                sua esistenza. Scrivendo questa pagina, ho voluto stare lontano 
                dai dati, dai risultati e dalle corse il più possibile, 
                proprio per narrare le gesta di vita finali di questi cinque giovani, 
                speranze di un domani dell’automobilismo anni ’50, 
                che un domani non hanno avuto, ma che entrano di diritto nella 
                storia della Casa di Maranello e mai saranno scordati e di un 
                Costruttore che ha amato l’auto in maniera univoca e che 
                ha pagato un prezzo troppo alto per un uomo, anche se dallo sport 
                dell’auto l'Uomo di Maranello ha avuto tante gioie, “terribili 
                gioie”. MfB  | 
           
           
             | 
           
           
            L'autore 
                su segnalazione all'indirizzo infomodelfoxbrianza@gmail.com, sarà 
                ben lieto di segnalare la provenienza del materiale iconografico 
                rappresentato in questa pagina.  | 
           
           
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            La 
                pagina rappresenta uno studio condotto dall'autore sulla "Primavera 
                Ferrari" e potrà, a seguito di nuovi 
                accertamenti, subire modifiche atte ad inquadrare al meglio la 
                verità storica dell'evento.  | 
           
         
         
         
        Bibliografia 
         
         
        Pagina pubblicata il 17 novembre 2010  
        
         
        
        
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